lunedì, febbraio 26, 2007
mercoledì, febbraio 21, 2007
venerdì, febbraio 09, 2007
mercoledì, febbraio 07, 2007
Il perché del nostro leale "non possumus"
AVVENIRE - Mercoledì 7 febbraio 2007
Circa la bozza sulle unioni di fatto
Il lavorìo su un possibile disegno di legge del governo in materia di unioni di fatto sembra dunque arrivato ad una svolta. Le anticipazioni di stampa - soprattutto quella assai particolareggiata fornita sabato scorso da "Repubblica" - tenderebbero a confermare che ormai ci siamo. In realtà, però, a quanto è dato di capire, non ci siamo affatto. L'impianto della bozza normativa fatta circolare induce infatti a ritenere che ciò che era stato solennemente escluso, la creazione di un modello simil-familiare, è in realtà quello che si va alacremente predisponendo. Era possibile domandarsi quali soluzioni potessero essere adottate per dare attuazione a quel capitolo del programma dell'Unione (qui senza l'Udeur) che prevede il «riconoscimento giuridico di diritti, prerogative e facoltà delle persone che fanno parte delle unioni di fatto». Formula questa che - secondo logica - individua come oggetto del riconoscimento che si vuole introdurre i diritti dei singoli e non la convivenza in quanto tale. Ne deriva che qualsiasi modello di registrazione, certificazione o attestazione della convivenza, ad esempio di tipo anagrafico, alla quale venisse collegata l'attribuzione di diritti e di doveri dei soggetti che ne fanno parte, sarebbe del tutto gratuita, e finirebbe per riconoscere legalmente una realtà di tipo para-familiare, determinandola anzi come un nuovo status. Ebbene, tutto ciò che qui si paventa, lo troviamo nella bozza messa abilmente in circolazione per saggiare l'opinione pubblica. È infatti l'articolo 1 a dare subito il là in senso para-matrimoniale al testo. In primo luogo, introduce il "rito" della dichiarazione di convivenza e della conseguente "annotazione" nell'anagrafe comunale e fa discendere da questo passaggio l'attribuzione di diritti e di doveri ai conviventi. Si delinea, insomma, un processo nel quale l'anagrafe diventa lo strumento non di un puro e semplice accertamento, ma dell'attribuzione di uno status giuridicamente rilevante. Inoltre lo stesso articolo va a specificare - cosa assolutamente non dovuta - a quale titolo la convivenza si instaura, ossia delimitando le convivenze oggetto della normativa a quelle tra «due persone maggiorenni» legate da «vincoli affettivi». (...) Un conto è riconoscere alcuni diritti a persone che hanno dato liberamente origine a una situazione di fatto che rimane tale, e tutt'altro è dare a tale condizione una rilevanza giuridica che ne fa, appunto, la fonte di diritti e doveri assai simili a quelli previsti per la famiglia fondata sul matrimonio. Sulla base di una costruzione giuridica, si riconoscerebbe così tutta una serie di diritti - in materia di successione, di pensione di reversibilità, di obbligo di prestazione di alimenti, di dovere di reciproca assistenza e solidarietà - che non a caso l'ordinamento italiano prevede solo e soltanto in relazione allo status familiare e al valore di assoluta preminenza a questo riconosciuto dalla Costituzione e dalle leggi. E il risultato sarebbe quello di porre in modo forzoso e inevitabilmente sconvolgente su un piano analogo la programmatica stabilità della famiglia definita nell'articolo 29 della nostra Carta fondamentale e la condizione liberamente altra delle scelte di mera convivenza. Un'operazione spericolata da un punto di vista giuridico e ancora di più per significato e impatto sociale. È questo il cuore del problema. Creare, sia pure in forma involuta e indiretta, un modello alternativo e spurio di famiglia significa indebolire e mortificare l'istituto coniugale e familiare «nella sua unicità irripetibile» (Benedetto XVI, domenica scorsa): l'esperienza, realizzata in una serie di Paesi, questo sgradevole nesso dimostra in modo incontrovertibile. E significa agire in oggettivo e azzardato contrasto con il favor riconosciuto alla famiglia fondata sul matrimonio dalla Costituzione repubblicana e da una tradizione culturale e giuridica bimillenaria.Per questi motivi, se il testo che in queste ore circola come indiscrezione fosse sostanzialmente confermato, noi per lealtà dobbiamo fin d'ora dire il nostro "non possumus". Che non è in alcun modo un gesto di arroganza, piuttosto è la consapevolezza di ciò che dobbiamo - per servizio di amore - al nostro Paese. L'indicazione franca e disarmata di uno spartiacque che inevitabilmente peserà sul futuro della politica italiana.
martedì, febbraio 06, 2007
Chi ci sgomenta
Francesco Caruso, deputato di Rifondazione Comunista e leader dei no global, ha dichiarato in una recente intervista al Corriere della Sera:
«Io dico sempre che la morte di un marine vale quella di un bambino iracheno; e quella di un agente vale come quella di un ultrà». Quanto alla polizia, «è poco addestrata, sa solo manganellare nel mucchio».
«Io dico sempre che la morte di un marine vale quella di un bambino iracheno; e quella di un agente vale come quella di un ultrà». Quanto alla polizia, «è poco addestrata, sa solo manganellare nel mucchio».
Solo un commento, Caruso, nulla di più: vergogna!
domenica, febbraio 04, 2007
Chi ci sgomenta
«La festa di Sant'Agata non andava fatta. Domani ci saranno i funerali del poliziotto morto ma ci sarà anche la processione della statua. Invece la Bara di Raciti doveva essere in chiesa sotto la statua. Il dovere della Chiesa è essere vicini ai problemi sociali. Oggi il Papa non ha detto una parola nell'Angelus.»
(Pippo Baudo, 4 febbraio 2007)
sabato, febbraio 03, 2007
Standing ovation for Mario Draghi!
"Il livello dell’imposizione tributaria in Italia è elevato. Penalizza le imprese e le famiglie che compiono il proprio dovere fiscale. In prospettiva esso va moderato. I frutti della lotta all’evasione devono trovare compensazione nella riduzione delle aliquote."
(Mario Draghi, Governatore della Banca d'Italia, 3 febbraio 2007, Torino)
giovedì, febbraio 01, 2007
Prodi?...BASTA!
"Come risultato dell'instabilità politica, sono improbabili importanti riforme economiche. La debolezza dei conti pubblici resta un altro problema, e le misure di consolidamento da parte del governo, man mano che verranno approvate, avranno come risultato quello di appesantire la pressione fiscale piuttosto che tagliare la spesa, deprimendo i consumi privati."