La sfida di inizio millennio è l’educazione ai valori
Una ricerca statistica curata dalla Fondazione per la Sussidiarietà rileva che per il 60% degli italiani la vera prima emergenza del nostro Paese è rappresentata dall’educazione. Ovviamente non si intende semplicemente quella formale del bon ton dei salotti o della capacità di essere gentili e garbati con i propri simili, anche se sarebbe già qualcosa. No, quella indagata dalla ricerca è l’educazione intesa come cultura, cioè la capacità personale di affrontare in modo critico e sistematico la realtà, in ogni suo aspetto e in relazione ad uno scopo. Questo implica una percorso adeguato, una esperienza formativa in atto e soprattutto una continua lealtà di cuore con le domande originarie connesse al senso della vita, del lavoro e della propria esperienza umana intera, con le quali il paragone costante di ogni nostra giornata rappresenta il pungolo esistenziale più acuto. È a questo livello profondo e troppo spesso non indagato che, infatti, si gioca il grado di qualità di una nazione, di una società e della sua capacità di convivenza civile organizzata e tesa al bene comune del popolo. E a questo proposito poco può dire la politica. Qui si tratta delle singole persone e del sentimento di appartenenza ad una storia comune ed alle radici di una famiglia e di una cultura, quella italiana, che per assenza di responsabilità educativa di istituzioni importanti quali la Chiesa, la famiglia e la scuola ha ormai, da troppo tempo, perso la direzione del proprio cammino. Mancano maestri adeguati, capaci di introdurre giovani e meno giovani al cammino della vita, inteso come esperienza di verità e quindi come capacità di riscoperta vissuta di valori esistenziali autentici. Primo tra tutti il valore fondamentale rappresentato dal senso religioso che marchia, in modo indelebile, il cuore di ogni esperienza umana e di ogni popolo. Ogni sera, dalle 20 in poi, circa il 90% delle famiglie italiane assiste, impotente, allo spettacolo offerto dai telegiornali nazionali di uno scenario quotidiano fatto di omicidi, rapine, truffe, scandali, guerre, lotte, violenze e qualunque altro tipo di nefandezze possibili. A questo poi si aggiunge, buon ultimo, il teatrino della attuale politica governativa nostrana che, non contenta, si diverte ad assoggettare ancor di più il popolo, affamandolo con nuove tasse, vincoli, leggi e balzelli. Ma la sete di educazione delle persone e del popolo intero rimane. Talvolta viene mascherata dalla fiction rappresentata dall’industria dello stordimento generale del cosiddetto spettacolo, del mondo dei presunti vip, dell’intrattenimento bolso dei film natalizi che dovrebbero far ridere, dal gossip stupido e vuoto dei rotocalchi, dal furore della passione calcistica o, tristemente peggio, dall’evasione dalla realtà, rappresentata ormai per centinaia di migliaia di nostri giovani dall’uso costante di droghe. Tutto questo nasconde un vuoto, un grande vuoto esistenziale, educativo e di verità. E come non sentire che proprio dal fondo di questa umanità gaudente e disperata si leva un’invocazione straziante di aiuto? Questa recente domanda di Benedetto XVI suona come un monito paterno per tutti noi. Per educare ci vogliono dei padri. Padri e maestri, altro che imbonitori di popolo, opinionisti a pagamento o intrattenitori del sabato sera e opinion maker che dir si voglia. E poco possono anche i pochi eroici insegnanti delle nostre scuole pubbliche e private, sommersi quotidianamente nel loro lavoro dal bombardamento potente dei media, dell’industria dello spettacolo, dell’informazione e dell’intrattenimento, da cui vengono, molto più spesso, educati i nostri giovani. Però qualcosa si può fare e in molti già lo fanno, ricominciare.
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